martedì 11 settembre 2012

Curro, ergo sum! Drei Zinnen Marathon

Chiunque abbia iniziato a correre si ricorda la sensazione del primo mese in cui, con la lingua fra i lacci delle scarpe e i polmoni che bruciano pensa: "Ma chi me lo ha fatto fare!!!" Poi parli con chi corre, i mesi passano... 
Mi sono chiesta spesso perchè, cosa vi spinge, cosa trovate, cosa vi piace.

Sono mille le risposte, o solo una?

La Drei Zinnen Marathon di domenica scorsa (http://www.dreizinnenmarathon.com/), forse aiuta a scavare dento l'animo del runner e a spiegarlo.

Questo il racconto di Nicola Morsut 
Drei Zinnen Lauf, o sul senso del correre


Non se se anche tu lo fai, distratto lettore di questo breve resoconto, ma io mi chiedo spesso perché corro. “Un’altra delle tue domande” direbbe qualcuno, una riflessione sul senso delle mie azioni, la intendo io.

Potrei correre per stare in forma. Ma allora perché mi sono consumato le cartilagini?
Potrei correre per stare in compagnia. Ma allora perché mi sveglio presto la mattina e mi perdo nel bosco del Torre da solo, disturbando incolpevoli lepri e fagiani?
Potrei correre per svagare il cervello. Ma allora perché ci imponiamo delle durissime ripetute in cui nessuno vuole arrivare ultimo?

Corro, e non so perché.

Arriva il giorno, però, in cui tutto si chiarisce. Si alza la nebbia sulla mia domanda e vedo chiara una motivazione, la direzione dei miei passi.
Così è successivo domenica scorsa.

Mi alzo la mattina alle 5, preparo una semplice pasta all’olio (il famoso carico di carboidrati o “carboload”, come mi scrisse Pagavino 3 anni fa, proprio a Sesto) e un’ora dopo sono in macchina con direzione Süd Tirol.
La compagnia è varia e divertente: chi va per correrla, chi va per camminarla, chi va a fare una passeggiata con la famiglia. In tutto siamo in 9.
Alla partenza io e Lamberto ci scambiamo un gesto d’intesa, come a dirci “avanti e po bón!” Di fianco a noi parte un ultraottantenne, con la leggerezza d’animo di chi va a fare una camminata sul lungomare di Grado, nessuna preoccupazione per i 1.300 metri di dislivello che ci aspettano.
Il percorso lo conosco già, ho corso qui nel 2009: 6 km di piano, 1 km di leggera salita, 9 km di sentiero, 500 mt di discesa, un tratto di piano e l’ultima rampa fino al rifugio Locatelli. In totale 17 km.

Non serve dire se la corsa è dura, faticosa, se ho corso o camminato in salita. Il profilo altimetrico lo trovate sul sito della manifestazione. Io guardo davanti a me, chiudo l’accesso alle informazioni, entro in sintonia col mio respiro ed il mio corpo. Raggiungo l’assenza di pensiero.

All’arrivo in cima un fornitissimo ristoro ci aspetta. L’attrattiva principale è il ventaglio di torte di stampo germanico, nulla che vi potrebbe mai consigliare il vostro dietologo. Abbondantissime fette di sacher, crostate ai mirtilli, torte con crema e nocciole, pezzi di strudel dalle dimensioni di poco inferiori all’ultimo libro di Umberto Eco.
Spettatore inaspettato dell’arrivo è un gregge di lama. Beati si godono il sole di questa stupenda giornata, indifferenti alla presenza di 1000 sudati bipedi che si accalcano attorno al rifugio.

È lì che trovo il mio senso. Arrivo al traguardo. Quello davanti a me esulta per la foto, io non mi sento in dovere di farlo. Verrò così, con la mia smorfia. 
Faccio un paio di passi, supero il rifugio e davanti a me scopro il motivo. Le tre cime di Lavaredo imponenti, immobili, possenti. Tre denti aguzzi che mordono un cielo da favola, l’azzurro più puro attraversato da lente e soffici nuvole.
Immediatamente capisco che ne valeva la pena.
La sensazione della festa mi pervade, ho fatto qualcosa, ho afferrato un concetto.

Ci mettiamo tutti in posa per la foto ricordo con le cime alle spalle. Adriano Grion, alla 15° partecipazione su 15 edizioni è contento come un bambino a cui si regala il primo trenino. Leggo la sua immensa soddisfazione e la sua voglia di pensare già al prossimo anno.

In quello che credo sia il suo senso capisco anche il mio senso.

Si corre per correre, si corre per…




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